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Cammini di rinascita: la forza delle università nella rinascita dell’Appennino centrale


Dalle ferite del sisma del 2016 nasce un nuovo modello di sviluppo: università, ricerca e innovazione al servizio della ricostruzione e della resilienza dell’Appennino centrale

Dalle ferite del sisma del 2016 nasce una nuova visione per l’Appennino centrale, fatta di resilienza, ricerca e rilancio territoriale. A distanza di anni dal terremoto che ha colpito profondamente i territori di Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo, si fa sempre più concreta l’idea di un futuro costruito non solo sulla ricostruzione materiale, ma su basi culturali, scientifiche e sociali nuove. Una rinascita che prende forma attraverso il coinvolgimento delle università, la creazione di centri di innovazione e lo sviluppo del turismo lento come forma di valorizzazione sostenibile del territorio.

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Al centro di questo grande progetto di rigenerazione ci sono dieci università del territorio, coordinate attraverso quattro progetti pilota, distribuiti strategicamente nei territori colpiti dal sisma. Il Commissario straordinario alla Ricostruzione, Guido Castelli, ha sottolineato con forza come “L’innovazione non riguarda soltanto le tecniche adottate per la ricostruzione del patrimonio immobiliare, ma ha una portata ben più ampia che comprende anche la ricerca universitaria, lo sviluppo territoriale, la nascita di nuove forme di partenariato pubblico-privato e la valorizzazione delle start-up”.

I progetti pilota vedono protagoniste quattro università-hub che fungono da poli di riferimento per la rete accademica: Camerino per le Scienze e tecniche della ricostruzione, Rieti per l’Economia circolare e salute, Perugia per la Digitalizzazione e valorizzazione del patrimonio culturale, e Teramo per la Ricerca agroalimentare. Un modello di lavoro a rete, che secondo Castelliagisce nella logica e nella modalità hub-spoke”, coinvolgendo anche altre sedi universitarie e centri di ricerca pubblici. Si tratta di un sistema organico e coordinato, pensato per avere un impatto strutturale e duraturo sul territorio.

Non è solo una metafora: quello che si sta realizzando è a tutti gli effetti un Laboratorio Appennino Centrale, un’esperienza unica nel panorama italiano ed europeo, dove ricostruzione e innovazione convivono. La visione è ampia e ambiziosa: rilanciare questi territori attraverso la conoscenza, la sostenibilità e l’interazione tra pubblico e privato. La firma di protocolli d’intesa tra università e soggetti attuatori della ricostruzione dimostra quanto questa rete sia solida e proiettata nel lungo termine.

A fare da cornice, ma anche da protagonista, in questo processo di rinascita è il turismo lento, una riscoperta delle vie storiche, dei cammini spirituali e naturalistici che attraversano il cuore dell’Appennino. I progetti promuovono un approccio sostenibile al territorio, capace di generare economia rispettando l’identità dei luoghi. I sentieri tra borghi antichi, eremi e paesaggi incontaminati diventano vie di rigenerazione, sia per chi li percorre, sia per le comunità locali che li custodiscono.

In questo contesto, le università giocano ancora una volta un ruolo chiave: mappature digitali, studi antropologici, progetti di valorizzazione del patrimonio immateriale, tutto contribuisce a rendere i cammini non solo attrattivi, ma anche strumenti di consapevolezza e coesione.

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La sfida dell’Appennino centrale non è solo quella di ricostruire ciò che è stato distrutto, ma di trasformare una tragedia in un’occasione di rigenerazione. Grazie a un impegno corale che coinvolge istituzioni, università, cittadini e operatori economici, prende forma una nuova idea di sviluppo per le aree interne italiane.

È un processo strutturale di rinnovamento quello che si sta adottando”, ha dichiarato Castelli, “con la creazione di poli di ricerca, la valorizzazione delle start-up e nuove modalità di erogazione dei servizi”. Una trasformazione profonda, lenta ma costante, che ha nel sapere e nella bellezza i suoi pilastri fondamentali.

Il Professor Fausto Elisei, Pro-Rettore Vicario dell’Università degli Studi di Perugia e Direttore del Centro di Ricerca per l’Innovazione, Digitalizzazione, Valorizzazione e Fruizione del Patrimonio Culturale e Ambientale (CE.D.I.PA.), ha spiegato come l’ateneo perugino stia svolgendo un ruolo cruciale nella definizione di strategie innovative per la digitalizzazione del patrimonio culturale e ambientale, con un’attenzione particolare ai territori colpiti dai sismi del 2009 e 2016.

Su iniziativa dell’Università degli Studi di Perugia e con finanziamento del ‘PNRR – Fondo complementare’, nel 2023 è stato istituito, con sede a Spoleto (PG) il Centro di ricerca per innovazione, digitalizzazione, valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale e ambientale (CeDiPa), cui afferiscono le Università degli Studi dell’Aquila, di Teramo e la Politecnica delle Marche” ha dichiarato il Professor Elisei.

La trasformazione digitale del patrimonio culturale e ambientale”, ha proseguito il Professor Elisei, “è un dominio dinamico e in evoluzione che coinvolge la dimensione tecnologica accanto ad aspetti filosofici, sociali, culturali, economici e manageriali. Il CeDiPa intende raccogliere le sfide del settore interdisciplinare delle Digital Humanities coordinando le varie dimensioni interessate nei processi di digitalizzazione. CeDiPa lavora alla progettazione e allo sviluppo di piani per la digitalizzazione dei patrimoni culturali e ambientali – a partire dal proprio –, e alla formazione e l’aggiornamento delle figure professionali che operano nel campo della digitalizzazione, in stretta connessione con le istituzioni e gli operatori del settore”.

In questa prospettiva, il CeDiPa presta particolare attenzione alle questioni epistemologiche e metodologiche, per definire modalità innovative di integrazione dei vari approcci al fine di generare paradigmi che tengano insieme i diversi settori scientifici interessati alla digitalizzazione del patrimonio. Attualmente” ha affermato il Professor Elisei, “tramite il CeDiPa, l’Unipg è coinvolta nel progetto di Digitalizzazione E Promozione delle Opere Salvate In Territori Interessati da calamità naturali (DEPOSITI), una iniziativa indirizzata a definire metodologie, procedure e proporre best practices per la documentazione e valorizzazione dei reperti presenti nei Centri di Deposito, istituiti od organizzati in varia forma e secondo diverse articolazioni presso Spoleto, L’Aquila, Rieti e Camerino – messi in salvo dai crolli dei terremoti 2009-2016 che hanno colpito il centro Italia”.

Nello specifico, il progetto mira alla definizione dei criteri di documentazione, catalogazione, archiviazione, fruizione e conseguente promozione del patrimonio citato con l’obiettivo di far diventare il patrimonio supporto a percorsi creativi ed educativi, veicolo di sviluppi in ambito di ricerca e divulgazione, ma anche di riappropriazione di significati culturali per intere comunità e di sviluppo locale” ha poi concluso Professor Elisei.

Il Professor Dario Compagnone, Ordinario presso la Facoltà di BioScienze e Tecnologie Agro-Alimentari e Ambientali dell’Università di Teramo, ha sottolineato il ruolo centrale della ricerca universitaria, con particolare riferimento al settore agroalimentare, evidenziandone il valore strategico per lo sviluppo economico locale dei territori colpiti dal sisma. Attraverso esempi concreti di progetti attivati e finanziamenti ottenuti, il Professore ha illustrato come l’innovazione scientifica possa generare ricadute positive sul territorio, rafforzando il legame tra accademia, impresa e comunità.

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La ricerca nell’agroalimentare è fondamentale per l’economia locale in quanto, per definizione, in grado di coniugare tradizione e innovazione. L’innovazione produttiva può essere vista non solo nello sviluppo di nuovi processi di produzione, o nella realizzazione di nuovi prodotti alimentari ad elevato impatto per la salute, ma anche nella individuazione di nuove tecnologie che possano consumare meno energia, acqua o che riutilizzino gli scarti. In considerazione del numero elevato di piccole e medie imprese operanti nel settore la ricerca dovrebbe fornire strumenti per il trasferimento tecnologico alle imprese attuali e favorire la costituzione di microimprese da parte dei giovani” ha dichiarato il Professor Compagnone.

L’Università di Teramo ha sviluppato recentemente progettualità rilevanti nell’ambito del PNRR (spoke 3 sull’agroalimentare progetto Vitality) ed ha recentemente avuto finanziamenti sui fondi dedicati alla ricostruzione post-sisma (PNC) per il completamento del Centro di Ricerca Interuniversitario Agribioserv (misura B4) e per la Realizzazione di una Scuola di Dottorato (progetto Scalare). L’obiettivo e di mettere a disposizione del territorio laboratori ed impianti pilota per stimolare innovazione nell’agroalimentare e contemporaneamente crescere una generazione di giovani ricercatori che possano contribuire al rinnovamento sociale ed economico” ha poi concluso il Professor Compagnone.





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