Far vivere un’inchiesta dopo mesi dalla pubblicazione è un compito difficile, a volte reso impossibile da un sistema lineare dell’informazione: le notizie diventano presto scarti, anche i lavori giornalistici che hanno un impatto nella società subiscono un rapido smaltimento.
Vale per i fatti che sconvolgono il mondo, fino alle notizie locali. Figuriamoci per le questioni ambientali e per gli approfondimenti sul clima. Per questo serviva uno spazio dove valorizzare i tempi lunghi dell’inchiesta, dove far sostare le notizie, metterle in circolo per condividere saperi, metodi e ipotesi d’indagine. Da due anni questo spazio ha un nome: Le Parole Giuste, il festival del giornalismo d’inchiesta ambientale organizzato da A Sud e dal nostro magazine, in collaborazione con una rete composta da case editrici, collettivi di giornaliste e giornalisti e da istituti culturali internazionali.
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I numeri e i temi de Le parole giuste
Dal 27 al 29 marzo a Industrie Fluviali, nell’hub rigenerato nel quartiere Ostiense di Roma, più di 400 persone hanno scelto di attraversare la seconda edizione del festival seguendo talk, workshop, presentazioni di libri, proiezioni sulla crisi climatica, sui conflitti ambientali e sull’economia circolare. La grande partecipazione di quest’anno conferma la voglia di fermarsi ad ascoltare e conoscere quelle storie che rischiano di finire presto in un archivio poco frequentato.
“Il festival è utile per chi lavora nel mondo dell’informazione, perché genera un confronto di posizioni e di conoscenze che sposta in avanti i discorsi legati alla sostenibilità. Lo abbiamo visto con i panel tematici, come quello dedicato all’auto elettrica: è stata un’occasione di dialogo tra l’equipe che in Europa lavora alle nuove batterie e la redazione di Report, impegnata in questi anni a illuminare tutte le zone grigie della transizione ecologica. In tempi di negazonismo climatico, con gli enti di ricerca sotto attacco, con il giornalismo indipendente minacciato e con l’attivismo di base criminalizzato, la seconda edizione de Le Parole Giuste ci ha fatto capire che rigenerare il dibattito sulle questioni ambientali è una scelta di campo, oltre che un primo passo per consegnare un giornalismo costruttivo che non scarta ma aggiunge complessità, spiega Alessandra De Santis, presidente di Editrice Circolare.
L’uso delle parole è il filo rosso di questa rassegna: quando è giusto parlare di greenwashing? E di estrattivismo? Cosa vuol dire land grabbing? Cosa indichiamo con il termine terre rare? Che cosa ce ne facciamo della parola antropocene? Durante i talk del festival queste domande sono diventate l’innesco per discussioni più ampie condotte dalle migliori firme del giornalismo investigativo, da divulgatrici e divulgatori scientifici e da attiviste e attivisti.
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“Dobbiamo puntare alla decarbonizzazione dell’economia”
L’apertura del festival è stata affidata a Stephen Markley, l’autore di Diluvio (Einaudi 2024), un romanzo che ci porta nel 2040 in un’America devastata dagli incendi e dalle alluvioni con un paesaggio umano e naturale che ci fa cogliere il presente, attraversato da eventi molto simili, come la grande ondata di incendi che ha colpito Los Angeles la scorsa estate. In dialogo con Francesco Cancellato, direttore di Fanpage.it, Markley ha ribadito che non c’è alcuna gioia nell’essere una sorta di Cassandra.
“Ho guardato i trend e le pubblicazioni scientifiche, cercando di capire il movimento di questi dati e dei fenomeni che stanno avvenendo sotto i nostri occhi. La crisi climatica è parte di una crisi più ampia che alcuni poteri vogliono arginare con muri, inventando nemici ma questi atteggiamenti non porteranno a nulla. Non voglio addolcire la pillola rispetto alla situazione che stiamo vivendo negli Stati Uniti, ma dall’altra parte qual è la scelta che abbiamo per i nostri figli e per noi che viviamo in questo tempo? L’unica cosa da fare è seguire la scienza puntando alla decarbonizzazione dell’economia”, ha raccontato lo scrittore.
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Podcast, libri, foto, graphic e data journalism: linguaggi diversi per raccontare il mondo che cambia
Tanti i libri approdati al festival, sia con la selezione curata da libreria Giufà sia con gli appuntamenti in palinsesto: Breve storia del clima in Italia, di Luca Mercalli, Tempo di Ritorno, di Ferdinando Cotugno, Malesangue di Raffaele Cataldi, Protesto perché conosco di Serena Tarabini, Migrare in casa di Virginia Della Sala, il Rigiocattolo di Letizia Palmisano, Generazioni Future di Filippo Magni, Agro Punjab di Francesca Cicculli e Stefania Prandi, Come ne usciremo a cura di Fabio Deotto. E ampio spazio anche al graphic journalism con l’ultimo numero de La Revue, il fumetto Al lago al lago! di Alterales e con una serie di incontri curati dalla casa editrice Round Robin.
Tante le ore di formazione professionale per giornaliste e giornalisti: grazie al sostegno del journalismfund, più di ottanta persone hanno partecipato ai laboratori dedicati al data journalism, al podcasting, al reportage e alla costruzione di un’inchiesta ambientale. A tenere insieme i vari linguaggi c’è un’idea di giornalismo che chiama le cose con il proprio nome, indica le responsabilità dei fenomeni raccontati in romanzi come Diluvio, sfida poteri fossili e non si ferma alle prime verità.
Negli ultimi anni il debunking ha avuto molto spazio nel mondo dell’informazione. Di certo sbugiardare chi nega l’esistenza del cambiamento climatico è un atto dovuto, come lo è raccontare fatti complessi. Lo “spiegone”è un servizio del giornalismo, aiuta a districare questioni complicate, le rende accessibili, ma non basta. Chi legge un giornale vuole anche un’interpretazione dei fenomeni che stanno cambiando il mondo, dagli eventi che sconvolgono i nostri tempi fino a quello che ci accade sotto casa. Se ci fermiamo alla confutazione perdiamo un’occasione: quella di rendere il giornalismo uno strumento costruttivo in grado di avere un impatto nella società. Insomma, non basta spiegare bene le cose, servono parole giuste con cui formulare domande e con cui immaginare qualcosa di diverso.
Non a caso il titolo di questo festival è anche un glossario ecologista (Fandango 2024), un testo composito che a ogni pagina prende posizione, oltre a spiegare sigle e termini legati alle questioni ambientali, suggerisce delle lenti di lettura e invita a guardare quello che accade in un’ottica trasformativa. “Abbiamo scelto un lessico politico per ridefinire il modo in cui parliamo di crisi climatica, per risignificare il mondo. Questo festival oltre a essere uno spazio di discussione, può diventare un luogo dove stringere alleanze tra il mondo della scienza, tra il mondo della società civile e quello dell’informazione indipendente. Per intrecciare questi mondi servono parole schierate, perché non possiamo pensare che esistano parole neutrali e neutre”, ha spiegato Laura Greco presidente di A Sud.
Del resto, la quarta di copertina del glossario ecologista, lo spiega bene: “le parole sono buone se servono a qualcosa”.
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