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Amarelli: radici profonde, sguardo lungo. L’impresa che ha fatto scuola nel mondo | VIDEO


È il 1731 quando prende forma quella che diventerà una delle aziende simbolo della Calabria: la Fabbrica di Liquirizia Amarelli. Con sede a Corigliano Rossano, affonda le radici in una tradizione agricola e manifatturiera che ha fatto scuola nel mondo. L’intuizione originaria? Concentrarne il succo per ridurre i costi di spedizione e trasformare la radice da materia prima grezza in prodotto industriale. In quell’epoca, il passaggio dalla raccolta alla lavorazione diede vita a numerose imprese, i cosiddetti “conci” di liquirizia, e Amarelli fu tra le prime a strutturarsi in modo stabile. Oggi, a quasi tre secoli di distanza, l’azienda non è solo una fabbrica, ma un esempio di impresa culturale, radicata nel territorio e proiettata nel futuro. L’eredità familiare si è ampliata con quella dei lavoratori che, da generazioni, contribuiscono a mantenere vivo un patrimonio comune. Innovare, per Amarelli, è una costante: dalla prima caldaia a vapore di Rossano ai primi computer installati nel 1984, fino all’apertura del Museo della Liquirizia, uno dei primi musei d’impresa in Italia. La sfida odierna è distinguersi dal mass market. In un mercato saturo di caramelle e gomme economiche, Amarelli ha scelto di costruirsi un’identità forte, puntando su qualità, narrazione e partnership selezionate. Non è un caso che grandi marchi come Marvis, Strega o Melegatti abbiano scelto il nome Amarelli per rafforzare la loro offerta al gusto di liquirizia.

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Tecnologia con radici

Oggi l’azienda guarda all’intelligenza artificiale: un avatar virtuale, grazie alla collaborazione con l’Università della Calabria, sarà in grado di accogliere i visitatori del museo, rispondere alle domande e rilasciare certificati simbolici ai più piccoli. Nel cuore della piana di Sibari, dove la liquirizia cresce spontanea e vigorosa, si rinnova ogni giorno un dialogo tra passato e futuro, artigianato e tecnologia, gusto e cultura. E se l’Enciclopedia Britannica nell’Ottocento già definiva la liquirizia calabrese come la migliore al mondo, oggi Amarelli continua a portare avanti questa reputazione, con la stessa passione e visione di chi ha fatto della tradizione un motore di innovazione. Nel racconto di Fortunato Amarelli, amministratore delegato della società, emerge con forza la consapevolezza di un’eredità che non è solo storica, ma strategica. La fabbrica di liquirizia Amarelli affronta oggi un contesto industriale profondamente diverso rispetto al passato, ma lo fa con uno sguardo bifocale, come lo definisce lui stesso: “con gli occhi strabici”. Da un lato serve guardare oltre l’orizzonte, cercando di intuire i cambiamenti, anticipare le trasformazioni, cogliere segnali deboli in un’epoca che appare quanto mai incerta. Dall’altro, però, è necessario tenere i piedi ben piantati nel presente, affrontando quotidianamente la complessità della gestione aziendale. La visione di Amarelli è pragmatica: l’attuale contesto europeo e italiano impone una compliance spesso eccessiva, che si aggiunge a un quadro economico già reso difficile dall’instabilità dei mercati e dalle trasformazioni nei comportamenti dei consumatori. In questo scenario, l’unica risposta possibile resta la capacità di adattamento, che per Amarelli si traduce in innovazione costante, tanto di prodotto quanto di processo.

Prodotti e ricerca in evoluzione

Negli ultimi anni, l’azienda ha ampliato il proprio catalogo con una serie di proposte pensate per intercettare nuovi gusti e nuove modalità di consumo: caramelle gelée, mentine, panettoni alla liquirizia, birre artigianali, tutti prodotti pensati per esaltare l’identità del marchio, mantenendo però la coerenza con la tradizione. La chiave, spiega Amarelli, è nella vendita diretta: è lì, nel contatto diretto con il cliente, nello shop fisico e in quello digitale, che si misura il valore reale della proposta. Ed è proprio il pubblico più affezionato a chiedere quei prodotti che si discostano dalla produzione di massa e che conservano un sapore autentico, capace di raccontare il territorio, le sue radici e le sue evoluzioni. Emerge un’idea di impresa che tiene insieme memoria, innovazione e relazioni umane, muovendosi tra radici storiche e visione futura. All’interno dell’Università della Liquirizia e delle aziende, spazio sperimentale e culturale, prende forma un ecosistema che unisce saperi tradizionali e ricerca applicata. È in questo contesto che si sviluppano progetti di ricerca e sviluppo in collaborazione con le università italiane, come quello concluso di recente con l’Università di Palermo, finanziato attraverso un PON. Il progetto ha portato alla realizzazione di un sistema ERP integrato con tecnologia blockchain, capace di tracciare l’intera filiera aziendale, dai processi interni alla certificazione documentale. Uno strumento che, oltre a garantire efficienza organizzativa, offre un livello avanzato di rintracciabilità del prodotto, elemento sempre più centrale per il mercato e per i consumatori. Accanto a questo, l’azienda guarda anche ai possibili sviluppi in campo salutistico e cosmetico. Con il supporto di altri atenei, si studiano le proprietà funzionali della liquirizia: antivirale, lenitiva, balsamica, protettiva per lo stomaco. Le ricerche aprono prospettive in ambito cosmetico ed erboristico, con applicazioni su epidermide e integratori alimentari. La combinazione della liquirizia con altri elementi naturali, ad esempio, potrebbe tradursi in soluzioni utili per il benessere fisico e la cura della persona. Dal punto di vista commerciale, Amarelli è presente in 27 paesi nel mondo, ma senza entrare nella grande distribuzione. I suoi prodotti si trovano in boutique internazionali di alto profilo come Harrods, Galeries Lafayette, Fortnum & Mason, Magazin du Nord. Una strategia coerente con la filosofia del brand, che mira a distinguersi per qualità e autenticità, e a collocarsi in nicchie selezionate, dove il prodotto non è solo merce, ma racconto e identità. Il mercato estero più rilevante oggi è la Danimarca, ma anche Francia, Spagna e Germania rappresentano sbocchi rilevanti. L’approccio è sofisticato e mirato: fin dagli anni ’90 Amarelli ha investito sull’heritage marketing, quando ancora il termine non era di moda. Raccontare la propria storia è diventato un asset strategico, così come lo è stato il packaging: la scelta delle scatole in metallo, inizialmente più costose del contenuto, è diventata un segno distintivo. Il posizionamento è chiaro: nessun compromesso con la grande distribuzione, ma presenza selettiva nel canale farmaceutico e in ambiti dove la qualità è riconosciuta come valore. Anche la costruzione del team riflette questa impostazione. In azienda lavorano 40 persone, con profili che spaziano dagli operai specializzati agli impiegati, fino a laureati impegnati in ambiti strategici. La squadra si rafforza nei periodi di picco, con lavoratori stagionali che vengono coinvolti in maniera diretta e partecipata, contribuendo a un ambiente coeso e funzionale. La selezione avviene in base alle esigenze specifiche: nel museo, ad esempio, servono competenze diverse rispetto al laboratorio o alla logistica. L’attenzione alla composizione e alla stabilità del gruppo di lavoro è parte integrante della visione d’impresa: un modello che guarda lontano, ma che non perde mai il contatto con le persone e il territorio.

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Identità globale, anima locale

Per l’amministratore, il legame con il territorio non è solo una componente affettiva, ma un fattore strutturale della sopravvivenza aziendale. In tre secoli di attività, afferma, un’azienda non può restare dov’è se non costruisce un patto solido con la comunità. “Se non lo fa, viene espulsa”. Nel caso di Amarelli è accaduto il contrario: il rapporto con Rossano e con tutta la Calabria si è rafforzato nel tempo, generando una dinamica di riconoscimento e orgoglio reciproco. Non solo tra i cittadini del luogo, ma anche tra i calabresi emigrati, che – quando vedono il marchio Amarelli in giro per il mondo – lo promuovono naturalmente con il passaparola. Il prodotto simbolo resta la liquirizia pura in spezzatina, il più venduto, ma l’azienda ha saputo diversificare. Amarelli cita con affetto i “sassolini”, storicamente noti come “sassolini dello Ionio”, amati da chi cerca un gusto più morbido e dolce. Un altro esempio di come l’identità si possa declinare in modo variegato, senza mai tradire la coerenza con la propria storia. Il Museo della Liquirizia è parte centrale di questa visione. Non si tratta solo di raccontare il passato aziendale, ma di creare uno spazio aperto alla comunità, un ponte culturale che collega l’impresa al territorio. All’interno dell’Auditorium  si svolgono circa 70 eventi l’anno, organizzati da realtà no profit a cui l’azienda cede gratuitamente spazi, attrezzature e personale. Un’azione concreta, non simbolica, che rafforza il senso di appartenenza e restituisce valore sociale. Guardando al futuro, l’obiettivo è ampliare l’attività di vendita diretta. Non solo come leva commerciale, ma come scelta strategica centrata sulla relazione personale con il cliente. Amarelli parla di “marketing human to human”, un modello in cui l’interazione diretta genera consapevolezza: attraverso le visite al museo, i percorsi didattici e il racconto d’impresa, il cliente è messo in condizione di scegliere i prodotti con convinzione, comprendendone origine, qualità e significato. Alla domanda su cosa intenda lasciare alla prossima generazione, Fortunato Amarelli risponde con sincerità. Non si tratta di ricette o piani industriali, ma di trasmettere un senso di responsabilità. Non solo familiare, ma verso il territorio. Quel sentimento che lo ha riportato in Calabria e che, oggi, vorrebbe vedere risvegliato nei giovani. Un impegno silenzioso ma profondo, capace di tenere insieme passato e futuro, radici e possibilità.



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