Il 2 aprile 2025 Donald Trump ha annunciato tariffe del 20% su quasi tutti i beni materiali provenienti dall’UE, sospendendone poi quasi subito l’applicazione. Come giustificazione, ha citato l’elevato surplus commerciale dell’UE in questi beni con gli Stati Uniti. Tuttavia, questa giustificazione ignora il commercio di servizi.
Se guardiamo a questi ultimi, appare un quadro ben diverso, perché in questo caso l’UE ha un deficit commerciale con gli Stati Uniti. Questo deficit è dovuto in particolare a un deficit commerciale nei servizi digitali, che quasi coincide con il deficit nel commercio di merci. Nel 2020, il fatturato stimato dei fornitori di servizi digitali statunitensi nell’UE ammontava a più di 160 miliardi di euro, rispetto ai soli 20 miliardi di euro circa dei fornitori di servizi digitali dell’UE nel mercato statunitense.
Le strategie difensive dell’Unione per la sovranità digitale
L’UE ha già annunciato l’intenzione di avviare negoziati con gli Stati Uniti per ridurre o eliminare le tariffe. Per migliorare la propria posizione in tali negoziati, l’UE però potrebbe prima predisporre anche essa tariffe sulle importazioni statunitensi. In questo contesto, si discute ripetutamente di una tariffa sui servizi digitali statunitensi importati.
L’imposizione di tariffe sulle importazioni dall’UE è solo una delle tante misure adottate negli ultimi mesi che dimostrano come gli Stati Uniti non siano più un partner affidabile. Piuttosto, il governo statunitense sta sfruttando la debolezza di altri Paesi per ottenere i propri vantaggi. L’UE dovrebbe quindi ridurre la propria dipendenza digitale Stati Uniti, ma anche da altri partner inaffidabili.
Non si tratta solo di mantenere la prosperità e la competitività, ma – come condizione preliminare – di difendere la sovranità geostrategica e l’autorità su tecnologia e infrastrutture. La dipendenza europea dai fornitori di servizi digitali americani è già elevata e, se non si interviene, continuerà a crescere. I grandi colossi di Internet di oggi stanno anche guidando gli investimenti nell’intelligenza artificiale (AI), assicurando i modelli di business e le aree di crescita del futuro. Esercitano il loro potere di mercato lungo catene del valore sempre più digitali, espandendole e penetrando sempre più nelle aree di business tradizionali, rendendo dipendenti da loro semprepiù settori dell’economia tradizionale, compresa quella non digitale.
Il terzo problema è la pianificazione fiscale aggressiva dei fornitori di servizi digitali statunitensi attraverso le cosiddette pratiche BEPS (base erosion and profit shifting). In molti Stati membri dell’UE, i fornitori di servizi digitali multinazionali non pagano quasi nessuna imposta. Pertanto, contribuiscono poco o nulla al finanziamento dei beni pubblici nell’UE, anche se generano rendimenti elevati sui mercati europei.
Le perdite fiscali che minano la sovranità digitale
I Paesi europei stanno perdendo miliardi di entrate a causa della mancanza di interventi fiscali nei servizi digitali multinazionali. Secondo le stime dell’Istituto Ifo, il potenziale gettito annuale di un’imposta sui redditi derivanti dalla vendita dei dati degli utenti, dalla pubblicità online e dall’intermediazione sui mercati online ammonterebbe da solo a circa tre o quattro miliardi di euro.Un recente studio del CEPS, con ipotesi leggermente diverse, in particolare un’aliquota d’imposta più elevata, stima un gettito annuale di addirittura 37,5 miliardi di euro. Ciò si aggiunge all’uso gratuito di beni pubblici e altre infrastrutture a cui i fornitori digitali multinazionali contribuiscono poco o nulla. Al contrario, l’”esenzione fiscale” dell’UE sta causando danni economici duraturi, in quanto sottofinanzia le infrastrutture digitali e lascia i modelli di business digitali sviluppati nell’UE in una posizione fiscale peggiore.
La sovranità digitale compromessa dal potere delle piattaforme
Il potere di mercato dei fornitori digitali statunitensi e, in misura crescente, cinesi, unito all’aumento della creazione di valore digitale (AI, Metaverse, Web3.0), porterà a perdite fiscali ancora maggiori nei prossimi anni. Sempre più ricchezza uscirà dall’Europa se il potere di mercato dei grandi fornitori digitali stranieri non verrà arginato. Inoltre, un problema irrisolto è rappresentato dai grandi modelli linguistici che violano sistematicamente i diritti d’autore su vasta scala senza compensare gli autori per l’uso della loro proprietà intellettuale.
L’attuale potere di mercato dei grandi colossi di Internet risale all’inizio della commercializzazione delle innovazioni digitali sui mercati di massa a metà degli anni 2000 (smartphone, app, social media, ecc.). Oggi pone un problema strutturale, competitivo e, in ultima analisi, normativo per l’economia digitale europea, con conseguenze che toccano in profondità la società, gli interessi economici e l’ordine normativo dell’UE, considerando i pericoli della manipolazione e della disinformazione per la democrazia e lo Stato di diritto.
Monopoli digitali: il potere quasi sovrano delle piattaforme
In questo contesto, le autorità di regolamentazione hanno un ruolo da svolgere nel far rispettare la sovranità fiscale, difendere la sovranità digitale e creare condizioni di parità per le PMI.
La creazione di valore digitale ha caratteristiche specifiche rispetto alla creazione di valore industriale. In particolare, gli effetti di rete e le economie di scala favoriscono la creazione di potere di mercato. La sua natura immateriale lo rende difficile da catturare fisicamente o spazialmente. I motori e i principali beneficiari della digitalizzazione sono oggi prevalentemente i fornitori di servizi digitali multinazionali in mano agli Stati Uniti, la cui posizione dominante e il cui potere di mercato sono in costante crescita. Questo sviluppo pone tre problemi principali ai responsabili politici dell’UE.
Problema 1: alta concentrazione e bassa concorrenza nei mercati digitali
Attualmente la concorrenza nei mercati dei servizi digitali non funziona bene. Ciò è dovuto a significative economie di scala e a effetti di rete. I mercati digitali sono quindi spesso dominati da un piccolo numero di fornitori.
Problema 2: elevata dipendenza digitale e minaccia alla sovranità digitale
La posizione dominante dei fornitori di servizi digitali multinazionali statunitensi nei mercati europei minaccia la sovranità digitale dell’UE. L’UE dipende dai fornitori di servizi digitali statunitensi in un numero sempre maggiore di settori. Tale dipendenza rende difficile l’applicazione dei valori e delle regole europee.
Problema 3: evasione fiscale aggressiva da parte di fornitori di servizi digitali multinazionali
I fornitori multinazionali di servizi digitali spesso minimizzano il loro onere fiscale sottostimando artificialmente la loro base imponibile e/o spostando i loro profitti in Paesi a bassa tassazione (base erosion & profit shifting, BEPS). Le aziende che minimizzano il loro onere fiscale in questo modo contribuiscono molto poco al finanziamento delle infrastrutture pubbliche e di altri beni pubblici, anche se ne beneficiano.
Una proposta di tassazione “sinottica”: un modello per recuperare la sovranità digitale
La proposta del Cep si basa concettualmente su una scomposizione della creazione di valore aggiunto digitale con l’obiettivo di risalire alle sue fonti ultime e quindi tassarle. Un servizio digitale e i suoi modelli di business sono concettualmente suddivisi in tre componenti:
- la fornitura di software,
- l’accesso alla rete di telecomunicazioni e
- l’interazione con l’utente.
In molti casi, si tratta di un processo bidirezionale: gli utenti non sono solo destinatari di informazioni, ma in qualità di “prosumer” forniscono anche informazioni, ad esempio contenuti dei social media, recensioni dei clienti, ecc. che migliorano la qualità dei servizi digitali, addestrano gli algoritmi e l’intelligenza artificiale, aumentando così gli effetti di rete dei modelli di business digitali.
Meccanismi di tassazione per rafforzare la sovranità digitale
Possiamo quindi distinguere tre tipi di fonti di valore in base alle quali i principali fornitori digitali possono creare ricavi:
- La fornitura di software come “servizio di sistema” (da parte di fornitori di servizi digitali ad altri fornitori di servizi digitali, spesso all’interno dello stesso gruppo)
- L’accesso all’infrastruttura digitale come “servizio di connettività” (da parte degli operatori di rete a fornitori di servizi digitali e i loro utenti).
- L’interazione con gli utenti come “servizio di interazione” (tra i fornitori di servizi digitali ed i loro utenti).
Questa suddivisione produce anche tre possibili fattispecie per la tassazione dei servizi digitali:
- Un dazio digitale sull’importazione di software di sistema (servizi di sistema), cioè sul trasferimento transfrontaliero dei diritti di proprietà e di utilizzo di software, licenze, ecc. che implementano il servizio di sistema. (“digital duty”)
- Un canone digitale per l’accesso alla rete (servizio di connettività) secondo il principio “chi invia paga”(come previsto dalla Commissione UE). Il canone di accesso alla rete può essere stabilito tramite asta e procedure, in modo da far rispettare le regole digitali a favore di una maggiore sovranità digitale.
- Un’imposta sulle vendite digitali (servizio di interazione) sui ricavi derivanti dal contributo a valore aggiunto degli utenti ai servizi digitali (“digital tax” secondo la proposta dell’UE; per i mercati a doppia faccia, le entrate pubblicitarie nazionali).
L’idea centrale di questa proposta concettuale è quella di utilizzare gli strumenti esistenti per creare una sorta di “rete” per la tassazione di quelle parti del valore aggiunto digitale che non sono fisicamente e territorialmente attribuibili o lo sono solo in minima parte. In questo modo si garantisce che i grandi fornitori digitali multinazionali non possano più “sfuggire” facilmente alle pratiche BEPS. Le singole misure sono esplicitamente non necessariamente cumulative, ma complementari, cioè non portano a una tassazione multipla involontaria.
Destinazione delle entrate e sovranità sulle infrastrutture digitali
L’utilizzo delle entrate differisce tra le tre misure. Il dazio sulle importazioni digitali confluirebbe nel bilancio dell’UE come entrate doganali e potrebbe essere utilizzato per finanziare gli investimenti strutturali necessari trasformazione. Le entrate derivanti dalla tassa sulla rete digitale potrebbero essere destinate, ad esempio, per finanziare l’espansione delle reti digitali. Il gettito della tassa sulle vendite digitali potrebbe essere utilizzato liberamente. La progettazione specifica delle misure da adottare è importante. Soprattutto quando si tassano i monopoli, il trasferimento dell’imposta potrebbe in ultima analisi svantaggiare i consumatori. Tuttavia, tali “dazi compensativi” ridistribuirebbero alcune delle rendite monopolistiche e delle perdite fiscali attualmente maturate dall’UE.
Se si considerano i segmenti “Licenze per la riproduzione e/o la distribuzione di software per computer” e “Software per computer; software originali” delle statistiche EBOPS dell’OCSE, le importazioni rilevanti dell’UE nel 2019 (dati più recenti) sono state pari a 4,2 miliardi di euro. Con un’aliquota tariffaria del 20%, ciò implica un potenziale di entrate, attraverso un dazio sulle importazioni digitali di circa 800 milioni di euro all’anno (senza tenere conto dell’evasione). Poiché nemmeno tutti gli Stati membri dell’UE riportano i dati sul commercio in questi segmenti, si tratterebbe di una stima piuttosto prudente, anche senza considerare gli effetti dell’evasione. In confronto, le entrate doganali dell’UE nel 2022 ammontavano a circa 25 miliardi di euro.
La seconda misura consentirebbe poi di superare il parassitismo dei fornitori di servizi digitali multinazionali nel finanziamento dei beni pubblici e delle infrastrutture di rete. A questo proposito, una tassa di accesso alla rete digitale può colmare una lacuna, soprattutto per i servizi di streaming, che rappresentano una quota significativa del trasferimento di dati.
Figura 1: Punti di partenza per la tassazione dei servizi digitali
Fonte: Illustrazione degli autori.
Protezionismo USA e necessità di sovranità digitale europea
La politica commerciale protezionistica di Trump sta aumentando la pressione su un’industria europea già alle prese con un calo di competitività. Né un atteggiamento attendista né il ricorso al protezionismo industriale sono risposte adeguate a questa situazione. La situazione richiede invece misure intelligenti che mirino direttamente ai settori in cui l’economia statunitense è fortemente orientata all’esportazione. Ciò riguarda il commercio di servizi, in particolare il commercio di servizi digitali, dove gli Stati Uniti hanno accumulato un’eccedenza commerciale rispetto agli altri Stati che quasi eguaglia il deficit nel commercio di merci. Proprio per questo, si può pensaredi tassare le grandi aziende digitali statunitensi che operano sui mercati dell’UE. In molti Stati membri dell’UE, questi fornitori di servizi digitali multinazionali pagano attualmente pochissime tasse, anche se generano di fatto profitti elevati.
Un quadro concettuale per riconquistare la sovranità digitale
Viene quindi qui ipotizzato un quadro concettuale per una tassazione mirata del settore digitale. Esso si fonda su un “approccio essenziale” basato sulla scomposizione della catena del valore dei servizi digitali in:
- servizi dati (le singole informazioni),
- servizi di sistema (software, server e algoritmi) e
- servizi di rete (l’infrastruttura).
Dalla quale derivano tre possibili soluzioni per la tassazione rispetto all’”ultima fonte identificabile”:
- un’imposta digitale vendite del servizio consumato a livello nazionale in base al principio della giurisdizione di mercato,
- un’imposta digitale sul servizio di sistema importato e
- una tassa digitale per l’utilizzo dell’infrastruttura di rete fornita a livello nazionale e utilizzata dai fornitori stranieri.
Naturalmente, l’attuazione di queste misure non è priva di rischi per i consumatori dell’UE. Come nella maggior parte degli altri casi, le tasse e le tariffe potrebbero essere trasferite sul lato della domanda, il che implica che i consumatori nazionali si troverebbero ad affrontare prezzi più alti per i servizi digitali a scarso potenziale di sostituzione a breve termine. Il nostro approccio non deve quindi essere visto come una soluzione ideale al problema della dipendenza digitale, ma piuttosto come un’aggiunta all’arsenale di misure difensive dell’UE, che migliora la posizione dell’UE nei futuri negoziati commerciali e contribuisce a creare un ambiente commerciale più equo per il settore digitale interno.
Traduzione concessa della versione originale della pubblicazione “A Digital Liberation Day for Europe?”
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