Durante i mesi più bui della pandemia, mentre il settore della ristorazione affrontava la sua crisi più profonda, Marco Fontanari ha scelto di non tirarsi indietro.
Ristoratore trentino e presidente dell’Associazione Ristoratori del Trentino di Confcommercio, della quale è anche vice presidente, ha guidato con determinazione una delle categorie più colpite, facendosi carico delle preoccupazioni, delle incertezze e delle richieste di centinaia di imprese del territorio.
Oggi, con un ruolo anche nel Comitato Direttivo nazionale di FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), Fontanari è diventato una figura di riferimento non solo per la sua capacità di rappresentanza, ma per una visione lucida e concreta sul futuro della ristorazione italiana.
«Determinazione, perseveranza e senso di responsabilità»: sono le parole che usa per riassumere quanto appreso in quel periodo straordinario. Un’esperienza che lo ha segnato profondamente e che continua a orientare il suo impegno quotidiano, sia come imprenditore sia come rappresentante di categoria.
Ma non si tratta solo di memoria o riconoscenza: per Fontanari, il rilancio del settore passa oggi da parole chiave come sostenibilità, qualità, innovazione e tutela dell’identità gastronomica.
In un Trentino che conta oltre 2.700 imprese della ristorazione e più di 11.500 addetti, la posta in gioco è alta. E non riguarda solo il cibo: riguarda il turismo, la cultura, il lavoro, il futuro dei centri urbani. Riguarda, in fondo, l’anima stessa del territorio.
Durante la pandemia, hai guidato l’Associazione Ristoratori in un periodo di grande difficoltà. Quali lezioni hai appreso da quella esperienza e come hanno influenzato la tua visione del settore?
«Determinazione, perseveranza e, soprattutto, un forte senso di responsabilità: sono questi gli elementi che hanno guidato il nostro operato in un periodo complesso come quello della pandemia. Il nostro compito era — ed è tuttora — rappresentare al meglio le esigenze degli associati, che mai come in quel momento hanno visto nell’associazione, nel presidente e nel management un punto di riferimento per ottenere risposte concrete.
Cosa mi ha lasciato questa esperienza? Ho imparato che quando si assume un ruolo di rappresentanza, bisogna farlo con convinzione, mettendosi davvero nei panni di chi vive difficoltà, sofferenze e incertezze. Bisogna saper ascoltare, comprendere e agire con tenacia. Solo così il lavoro viene riconosciuto, il merito valorizzato, e si ottengono soddisfazioni — non solo sul piano personale e caratteriale, ma anche umano. Anche se il ruolo sindacale non è retribuito, regala gratificazioni profonde. E per me, che vivo quotidianamente la realtà della ristorazione, essendo io stesso ristoratore, è stato forse più naturale e immediato comprendere i bisogni del settore».
Nel recente Rapporto FIPE, si evidenzia che in Trentino ci sono 2.704 imprese attive nella ristorazione con oltre 11.500 dipendenti. Quali strategie ritieni fondamentali per sostenere e far crescere ulteriormente questo settore?
«Dobbiamo innanzitutto capire se l’obiettivo è far crescere il settore della ristorazione dal punto di vista numerico. Considerando che attualmente contiamo circa 2.700 aziende su una popolazione residente di 500.000 persone – a cui si aggiungono milioni di presenze turistiche ogni anno – si tratta già di un numero significativo.
Dal punto di vista normativo, quando parliamo di ristorazione, includiamo non solo i ristoranti ma anche bar, mense commerciali e tutte le forme di somministrazione: un panorama molto variegato. Credo che, più che puntare a un aumento quantitativo, oggi la priorità sia mettere in sicurezza le imprese esistenti, garantendo loro la sostenibilità economica necessaria per operare con solidità. La strategia migliore passa da una doppia direzione: da un lato, un’attenzione concreta ai temi della sostenibilità – ambientale, economica e sociale – che non deve restare uno slogan. In particolare, i clienti stranieri sono molto sensibili al rispetto dell’ambiente e alla riduzione dell’inquinamento.
Dall’altro lato, dobbiamo continuare a qualificare sempre di più la nostra offerta, investendo sulla professionalità degli imprenditori e dei lavoratori del settore. La ristorazione sarà sempre più chiamata a rappresentare l’autenticità dello stile italiano, quel senso di italianità che dobbiamo tutelare non solo per i turisti, ma anche per i cittadini e i residenti. Il ristorante è diventato un’estensione della propria casa, un luogo di socialità fondamentale. Inoltre, non possiamo dimenticare che la componente enogastronomica è uno dei fattori principali che guidano la scelta dell’Italia come meta turistica. Per questo motivo, la qualità e l’identità della nostra ristorazione rappresentano un elemento chiave della nostra offerta turistica complessiva.»
Hai spesso sottolineato l’importanza della ristorazione come ambasciatrice del made in Italy. In che modo le istituzioni possono valorizzare e promuovere questa eccellenza a livello nazionale e internazionale?
«Allora, già molto viene fatto, e questo va riconosciuto, perché non possiamo ignorare che, in occasione di eventi istituzionali italiani all’estero, la ristorazione sia forse il primo elemento che accompagna l’evento stesso, al di là della parte formale. Esiste già un’iniziativa importante, nata dopo il Covid, che è la Giornata della Ristorazione, pensata proprio per celebrare questa attività, questa specificità tutta italiana, non solo nel nostro Paese ma anche all’estero. E ora ci si chiede come possa essere ulteriormente valorizzata.
Può esserlo, oltre alla comunicazione e alla promozione delle nostre eccellenze nel settore, anche attraverso un impegno concreto da parte della politica, riconoscendo a pieno titolo il settore della ristorazione come parte integrante delle imprese turistiche. Perché, paradossalmente, oggi si parla tanto di turismo e ristorazione, ma da un punto di vista legislativo la ristorazione non è ancora inquadrata come impresa turistica. È una richiesta che abbiamo già portato avanti a livello nazionale: la ministra Santanchè, nelle sue prime dichiarazioni, si era impegnata a far riconoscere questo aspetto. Un riconoscimento che sarebbe importante, perché permetterebbe anche alle aziende del settore di accedere ai bandi dedicati al turismo. Ora è necessario che questa promessa si traduca in azioni concrete e non resti solo un annuncio. Qualcosa, in effetti, è stato fatto l’anno scorso: nel decreto Flussi, che tradizionalmente riguardava l’ospitalità, sono state incluse anche le attività di ristorazione, forse grazie a delle quote residue, ma comunque con l’obiettivo di agevolare anche questo comparto nell’ambito del turismo».
La difficoltà nel reperire personale qualificato è una sfida crescente per molti ristoratori. Quali iniziative proponi per attrarre e formare nuovi talenti nel settore?
«Questa è sempre la domanda che può trovare tante risposte, ma bisogna capire quale sia quella davvero efficace. Sicuramente, per i giovani, è difficile approcciarsi a questo lavoro se lo si presenta solo come una professione subalterna e faticosa: in questo modo, attira poco. Secondo me, occorre fare ancora qualcosa in più rispetto agli attuali contratti, soprattutto sul piano economico. Serve rivedere la qualità del lavoro. Dopo il Covid, molto è cambiato: le aziende più attente, consolidate e capaci di interpretare il cambiamento hanno già fatto passi avanti, ad esempio riducendo le giornate lavorative o organizzando i turni in modo più equilibrato. Questo risponde non solo alle esigenze dei giovani che entrano nella ristorazione, ma anche a quelle delle persone più anziane.
Ma soprattutto, io dico sempre che questo è un lavoro che deve offrire la possibilità di diventare un grande imprenditore. Pensiamo a quei 180 ristoratori che oggi hanno aziende affermate: sono persone che vengono dalla gavetta. Questo è ancora un mestiere che può rappresentare un importante ascensore sociale. Si può partire da poco — da nessuno forse no, perché nessuno è davvero nessuno — ma questo lavoro ti consente comunque di costruirti una carriera professionale e diventare imprenditore di te stesso. È una prospettiva che va tracciata e valorizzata.
Dopodiché, è chiaro che un po’ in tutti i settori oggi si fa fatica a trovare manodopera, ma bisogna offrire una visione concreta, ristabilire un giusto equilibrio tra vita e lavoro — il famoso work-life balance, molto caro soprattutto ai giovani — e continuare a offrire soddisfazioni non solo economiche, ma anche legate allo stile e alla dignità del lavoro. A volte il ruolo del cameriere viene visto come svilente: io dico sempre ai ragazzi che iniziano da me di ricordarsi che non sono schiavi di nessuno, anzi, è la gente che dovrebbe sentirsi onorata di essere servita da loro. Per quanto riguarda il turismo, c’è poi un ulteriore problema: quello degli alloggi.»
Con la sua recente nomina nel Comitato Direttivo nazionale di FIPE, quali obiettivi ti prefiggi di raggiungere per rappresentare al meglio i ristoratori trentini a livello nazionale?
«Allora, diciamo che la nomina a livello nazionale è stato sicuramente un riconoscimento importante per l’attività svolta dall’associazione ristoratori, ma anche dalla FIPE generale in Trentino. Quando si partecipa ai tavoli romani si rappresentano interessi nazionali: lì si discutono temi comuni e trasversali, anche se su alcuni aspetti noi manteniamo una certa autonomia.
Il nostro obiettivo principale, come già detto, è quello di valorizzare sempre di più il settore della ristorazione, mantenendo viva un’identità che considero una delle più forti e che possiamo ancora salvaguardare, proteggendola dalle influenze delle tendenze globali. In particolare, per quanto riguarda il valore delle imprese, continuiamo a portare avanti una battaglia per tornare a una corretta programmazione dei punti vendita. Attualmente, in Italia ci sono circa 450 mila potenziali esercizi dove è possibile mangiare o bere: un numero che rappresenta il doppio, se non due volte e mezzo, rispetto a Germania e Francia.
Personalmente, non sono un sostenitore assoluto del mercato totalmente libero: credo che debba essere regolato. È fondamentale garantire la sostenibilità delle imprese, soprattutto quelle piccole e medie situate nei centri storici o cittadini. Sono queste attività a dare vita, identità e continuità ai valori delle città. Se svuotiamo i centri dalle piccole realtà imprenditoriali, le città prima o poi muoiono, o si degradano, come purtroppo stiamo già vedendo in moltissime aree».
Hai parlato della necessità di ‘ripensare il welfare’ nel contesto della ristorazione. Puoi approfondire cosa intende con questa affermazione e quali cambiamenti auspica?
«Il welfare è strettamente legato alla qualità e allo stile di vita dei nostri lavoratori. Personalmente, credo di essere riuscito, in questi anni, a chiudere due importanti contratti di secondo livello. Poi, è chiaro, si può discutere se siano troppo o troppo poco, ma qualcosa è stato fatto.
Oggi, per garantire il benessere dei lavoratori anche dal punto di vista economico, sappiamo bene quanto incida la tassazione sul netto percepito, in proporzione alla parte contributiva. Esistono però soluzioni alternative, come il welfare aziendale, che prevede un insieme di condizioni e servizi che le imprese possono offrire ai propri dipendenti sotto forma di beni o prestazioni. Ritengo che anche nel nostro settore della ristorazione dovremmo essere in grado di recepire e offrire queste opportunità ai lavoratori. Spesso, infatti, queste misure vengono associate solo alle grandi aziende, ma i lavoratori sono lavoratori ovunque, indipendentemente dalla dimensione dell’impresa. È chiaro che una grande azienda può organizzarsi autonomamente grazie alla sua struttura, mentre per le piccole realtà è necessario costruire un’organizzazione orizzontale che coinvolga più soggetti.»
La digitalizzazione e l’innovazione stanno trasformando il settore della ristorazione. Come vedi l’evoluzione tecnologica influenzare l’esperienza gastronomica e la gestione dei ristoranti?
«Per fortuna il gusto resta sempre gusto e non si può digitalizzare. Questa è una grande cosa che dobbiamo tenerci stretta. Quando parlo di mantenere l’identità, è chiaro che la digitalizzazione sta entrando in maniera significativa, sia nei gestionali sia, soprattutto, nei metodi di pagamento. Oggi abbiamo attività che registrano l’80 per cento di pagamenti digitali rispetto al contante di una volta. Anche in questo ambito, la federazione si è mossa con attenzione, perché c’era un problema legato agli ospiti stranieri e al tema delle mance, che non potevano essere incassate. Ora siamo riusciti a trovare un accordo, sia a livello fiscale statale, sia in collaborazione con l’associazione bancaria o i gestori delle reti di pagamento elettronico, per permettere un incasso corretto delle mance.
La digitalizzazione è importante anche per un altro aspetto: oggi sul digitale troviamo le recensioni dei ristoranti. Un uso corretto delle piattaforme e una buona gestione delle recensioni sono fondamentali per il posizionamento, perché tanti turisti scelgono dove mangiare proprio in base a queste. Su questo punto, va detto che recentemente il governo italiano si è fatto promotore di una legge contro le false recensioni, ora nei 90 giorni di esame presso la Commissione europea. È certificato che il 10-15 per cento delle recensioni sono false. Quello che chiediamo è che ci sia una valutazione corretta da parte dei clienti, ma basata su recensioni reali, non fasulle. Oggi, infatti, le recensioni si possono addirittura acquistare online.
Ma ti dico di più: il digitale entra anche nelle cucine. Attualmente esistono sistemi di cottura che, in linea con i principi di sostenibilità e riduzione delle emissioni e dei consumi energetici, possono funzionare a distanza, anche di notte. È possibile acquistare forni e attrezzature per la cottura — oggi molto diffusa, ad esempio, quella a bassa temperatura — che possono operare durante le ore notturne, contribuendo così a un minore impatto energetico. Questo è solo un esempio.»
Qual è il ruolo della sostenibilità ambientale nella ristorazione trentina e quali pratiche sostenibili ritieni più efficaci per il futuro del settore?
«La sostenibilità nel settore della ristorazione riguarda diversi aspetti. Si parte dalle persone, con l’obiettivo di garantire un giusto equilibrio sociale e un’adeguata sostenibilità lavorativa per i nostri collaboratori. Come accennavo prima, prestiamo molta attenzione alle emissioni, al riutilizzo e alla circolarità degli scarti, alla raccolta differenziata e, in particolare, allo spreco alimentare. Oggi siamo consapevoli di quante persone soffrano per mancanza di cibo e, allo stesso tempo, di quanto se ne sprechi. Proprio su questo tema, pochi giorni fa si è celebrata la giornata contro lo spreco alimentare: un’occasione importante che la federazione coglie ogni anno per sensibilizzare al corretto utilizzo degli alimenti.
Sappiamo che in Italia c’è ancora una certa ritrosia nei confronti della cosiddetta ‘doggy bag’, o ‘rimpiattino’, per imbarazzo o per abitudine. Anche su questo fronte stiamo lavorando: incoraggiamo i clienti e gli operatori a promuovere attivamente questa pratica, affinché ciò che non viene consumato al ristorante non vada sprecato.
Come associazione, inoltre, abbiamo appena avviato un progetto sperimentale per ottenere la certificazione di sostenibilità dei ristoranti, in collaborazione con un partner nazionale. L’intento è quello di mettere in pratica tutte le migliori prassi e i comportamenti virtuosi necessari per certificare un’attività ristorativa. Questo tipo di riconoscimento, in futuro, potrà contribuire anche a determinare lo score creditizio e altri parametri di valutazione dell’impresa.»
Ti avevo preannunciato la domanda sul turismo, ecco turismo e ristorazione sono legate a doppio filo a maggior ragione negli ultimi anni, qual è il vostro ruolo nel promuovere il turismo commerciale e culturale nel Trentino e che sono legate a doppio filo?
«La nostra prossima assemblea di maggio avrà come filo conduttore il tema del turismo e della ristorazione. Ne abbiamo già accennato in precedenza: oggi, l’offerta enogastronomica rappresenta uno dei primi due motivi di interesse per chi visita le nostre zone turistiche, soprattutto per gli ospiti stranieri. Il nostro obiettivo è quello di qualificare sempre di più questa offerta e renderci protagonisti all’interno del sistema turistico. Sappiamo bene che, al di là del cliente locale, per molte delle nostre aziende il turismo rappresenta il principale bacino di clientela per la ristorazione. Per questo vogliamo continuare a costruire una strategia basata su una buona offerta e sull’innalzamento della qualità.
Anche perché, va ricordato, dopo la grande distribuzione, la ristorazione è l’ultimo anello della catena nella distribuzione dei prodotti vitivinicoli e agroalimentari. Quando si parla di promuovere i prodotti e valorizzare le nostre peculiarità, bisogna poi far sì che queste si ritrovino effettivamente nella borsa della spesa o nel piatto al ristorante. Altrimenti diventa difficile raggiungere l’obiettivo.
È in quest’ottica che vogliamo posizionarci sempre più come una componente fondamentale del sistema turistico, cercando di non svilire l’offerta tipica rispetto al turismo. Detto questo, non sono un sostenitore assoluto dell’idea che si debba mangiare esclusivamente trentino. Ritengo invece che sia importante offrire una cucina nazionale che sappia valorizzare anche i prodotti trentini. Altrimenti, dopo pochi giorni, rischieremmo di diventare ripetitivi.
Su questo fronte è necessario investire in informazione, anche perché oggi uno dei problemi principali è legato alla conoscenza delle lingue da parte dei nostri collaboratori e imprenditori. Serve poi saper introdurre quel giusto tocco di innovazione, sempre tenendo presente che la cucina italiana non è la nouvelle cuisine. La nouvelle cuisine è francese. La cucina italiana, invece, si fonda su una lavorazione sapiente e semplice dei nostri prodotti.»
Confcommercio è la più grande ed importante associazione di categoria in Trentino: Qual è il suo vero ruolo nell’economia locale?
«Abbiamo organizzato un convegno recentemente, durante il quale sono emersi alcuni dati: il terziario incide sul PIL per circa il 60-65 per cento. Questo è il quadro attuale. Naturalmente non possiamo trascurare l’industria che produce, l’agricoltura che contribuisce in modo concreto, e l’artigianato che continua a operare con competenza. Tuttavia, questi numeri ci aiutano a comprendere l’importanza e la responsabilità che il terziario ricopre oggi.
Quello che serve, in questa fase di trasformazione e anche di riconversione culturale, è un accompagnamento consapevole per molti dei nostri operatori. Spesso ci si limita ad accusare ciò che non funziona nei rapporti con il pubblico, ma oltre alla critica è necessario individuare delle soluzioni. E le soluzioni nascono da un’apertura mentale e da una visione lungimirante.
È fondamentale tutelare le piccole e medie imprese che rappresentiamo, pur sapendo che non potremo mai fermare le grandi realtà. Per questo dobbiamo avere la capacità di unirle, di rappresentarle in modo coeso e, quando necessario, di riconoscere che certe attività non hanno più futuro, accompagnando quindi gli operatori verso una riconversione o verso nuove opportunità di offerta.»
In quanto categoria economica più grande del Trentino, come si traduce concretamente il vostro peso nei confronti delle istituzioni e delle scelte politiche locali?
«A mio avviso, questo si traduce, più che nel peso specifico, nella capacità di dialogare. Ritengo che una politica sana, orientata allo sviluppo e sostenuta anche dagli amministratori politici, possa realizzarsi quando le proposte sono serie e attuabili, al di là dei rapporti di forza. Chiedere le cose soltanto in base al proprio peso può portare a qualche risultato, ma appartiene a una visione politica superata che, in un contesto globale competitivo, non ci consente di costruire uno sviluppo realmente efficace».
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