L’articolo 16-ter, D.L. 131/2024 (c.d. “Decreto Salva-infrazioni”), introdotto, in sede di conversione, dalla L. 166/2024, in recepimento del principio espresso dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza di cui alla causa C-94/19 dell’11 marzo 2020 (San Domenico Vetraria), ha abrogato l’articolo 8, comma 35, L. 67/1988, secondo cui non sono rilevanti ai fini Iva i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo.
Di conseguenza, secondo la Corte, i distacchi di personale, in presenza di un “nesso diretto” tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto, sono da assoggettare a Iva a prescindere dall’importo del corrispettivo stesso, sia esso pari, superiore o inferiore ai costi sostenuti dal distaccante. La novità si applica ai prestiti e ai distacchi di personale stipulati o rinnovati a decorrere dal 1° gennaio 2025 e, inoltre, sono fatti salvi i comportamenti adottati dai contribuenti anteriormente a tale data in conformità alla sentenza della Corte di Giustizia UE o all’articolo 8, comma 35, L. 67/1988, per i quali non siano intervenuti accertamenti definitivi.
La controversia risolta dalla Corte di Giustizia UE
La controversia, relativa all’anno 2004, si riferisce al dirigente di una società, distaccato presso la controllata.
I costi sostenuti per il dirigente distaccato sono stati fatturati dalla società distaccante con applicazione dell’Iva, successivamente portata in detrazione dalla società distaccataria.
L’ufficio ha contestato l’esercizio della detrazione, sostenendo che i rimborsi, non discendendo da prestazioni di servizi rese dalla controllante alla controllata, sono esclusi da imposta, con il conseguente recupero a tassazione della detrazione operata dalla distaccataria.
La pretesa erariale è stata confermata in entrambi i giudizi di merito in considerazione della previsione dell’articolo 8, comma 35, L. 67/1988, che esclude da Iva i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo.
In particolare, l’articolo 30, D.Lgs. 276/2003 prevede, al comma 1, che l’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa, aggiungendo, al comma 2, che, in caso di distacco, il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore.
Come anticipato, il citato articolo 8, comma 35, L. 67/1988 dispone che non sono rilevanti ai fini dell’Iva i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo.
Orientamento della prassi amministrativa
L’Amministrazione finanziaria ha chiarito che tale disposizione è applicabile nella sola ipotesi in cui l’impresa fornitrice si limiti a porre nella disponibilità dell’impresa utilizzatrice proprio personale dipendente per lo svolgimento dell’attività lavorativa organizzata da quest’ultima nell’ambito della propria struttura. Per l’applicazione della disciplina agevolativa è necessario che il personale impiegato dall’impresa utilizzatrice sia legato da un rapporto di lavoro dipendente con l’impresa fornitrice. In assenza di quest’ultimo presupposto, le somme corrisposte sono soggette a Iva, ai sensi dell’articolo 3, D.P.R. 633/1972, dovendosi ritenere esistente il requisito della corrispettività anche se l’importo pagato dall’impresa utilizzatrice è pari al costo complessivo del personale sopportato dall’impresa fornitrice[1].
Come chiarito dall’Agenzia delle entrate, la “messa a disposizione di personale” di cui all’articolo 7, comma 4, lettera d), D.P.R. 633/1972 all’epoca vigente ricorre quando il personale prestato garantisce, all’impresa che se ne avvale, le proprie prestazioni in posizione di effettiva subordinazione. In sostanza, i lavoratori, pur restando fisicamente dislocati presso le strutture dell’impresa di appartenenza, svolgono i compiti loro assegnati sotto la direzione e il potere gerarchico e disciplinare esercitati dall’impresa che fruisce del “prestito”.
Si configura, pertanto, una diversa fattispecie (appalto di servizi), non riconducibile all’articolo 7, comma 4, lettera d), D.P.R. 633/1972, se i poteri di direzione, gerarchico e disciplinare, sono stati costantemente esercitati dall’impresa fornitrice, impedendo un’effettiva disponibilità della forza lavoro da parte dell’impresa che si avvale del prestito[2].
L’Agenzia delle entrate ha, inoltre, precisato che l’esclusione da Iva presuppone che sia rimborsato esclusivamente il costo del personale prestato (retribuzione, oneri previdenziali e contrattuali), in quanto l’intero importo è imponibile se le somme rimborsate sono superiori o inferiori al costo[3].
Orientamento della giurisprudenza italiana
Secondo un primo orientamento della giurisprudenza di legittimità, la somma eccedente il rimborso del costo del personale distaccato è soggetta a Iva, in quanto il regime di esclusione da imposta, previsto dall’articolo 8, comma 35, L. 67/1988, riguarda solo il costo del personale, che è sostenuto dall’impresa distaccante e che l’impresa distaccataria si limita a rimborsare[4].
In un secondo tempo è stato, invece, affermato che la norma in questione deve essere intesa nel senso che il distacco di personale è irrilevante ai fini Iva soltanto se la controprestazione del distaccatario consiste nel rimborso di una somma esattamente pari alle retribuzioni e agli altri oneri previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante, dovendosi pertanto escludere che il prestito di personale, a fronte del quale venga rimborsata una somma superiore al costo del personale, sia soggetto a Iva limitatamente alla parte che eccede il costo del personale prestato[5].Il medesimo orientamento è stato confermato dalla Suprema Corte, nel presupposto che, per restare fuori dal campo di applicazione dell’Iva, occorre che il distaccatario riversi al distaccante una somma esattamente pari al costo retributivo e previdenziale dei dipendenti utilizzati, dato che il riconoscimento di un corrispettivo maggiore o minore comporta l’inapplicabilità dell’agevolazione, con la conseguente applicazione dell’Iva all’intero importo pattuito[6].
Successivamente, con ordinanza interlocutoria n. 2385/2019, la Corte di Cassazione ha sollevato 2 questioni dirette a stabilire, rispettivamente, se il mero rimborso del costo del personale abbia natura corrispettiva e se l’articolo 8, comma 35, L. 67/1988 non determini un’ingiustificata disparità di trattamento, ai fini dell’Iva, tra i diversi strumenti mediante i quali si attua la messa a disposizione di personale.
Riguardo al primo profilo, il dubbio sollevato dai giudici di legittimità è se la norma nazionale sia compatibile con la disciplina comunitaria laddove esclude da Iva le ipotesi di distacco di personale quando il distaccante riceve il mero rimborso dei costi sostenuti per il personale distaccato, in considerazione del fatto che un diverso trattamento impositivo pare evincersi dal diritto comunitario, come interpretato dalla Corte di Giustizia UE, dovendosi, cioè, ritenere irrilevante la circostanza che il controvalore della prestazione sia uguale, superiore o inferiore al costo sostenuto dal prestatore.
Nell’ordinanza interlocutoria viene sottolineato come una prestazione di servizi è effettuata a titolo oneroso soltanto se esiste tra il prestatore e il beneficiario un rapporto giuridico nel corso del quale vengono scambiate prestazioni reciproche. A tal fine, il compenso percepito dal prestatore deve costituire l’effettivo controvalore del servizio reso al beneficiario e questo si verifica quando sussiste un nesso diretto tra il servizio reso e il controvalore ricevuto, vale a dire quando le somme versate costituiscono l’effettivo corrispettivo di un servizio individualizzabile fornito nell’ambito del rapporto giuridico[7].
Non è necessario, invece, ai fini della rilevanza ai fini Iva, che lo scambio sia lucrativo. Il risultato dell’operazione economica è, infatti, indifferente[8], anche perché la circostanza che un’operazione economica sia svolta a un prezzo uguale, superiore o inferiore al prezzo di costo è di per sé ininfluente ai fini della qualificazione di tale operazione come “negozio a titolo oneroso”, a meno che lo scarto tra i costi sostenuti e la somma ricevuta come corrispettivo sia particolarmente rilevante[9].
Orientamento della giurisprudenza comunitaria
Nell’esaminare i dubbi sollevati dal giudice italiano, la Corte Europea ha, anzitutto, osservato che, secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito del sistema dell’Iva, le operazioni imponibili presuppongono l’esistenza di un negozio giuridico tra le parti che implica la previsione di un prezzo o di un controvalore. Pertanto, quando l’attività del prestatore consiste nel fornire esclusivamente servizi senza corrispettivo, non vi è base imponibile e tali prestazioni non sono, quindi, soggette a Iva.
Ne risulta che una prestazione di servizi è effettuata “a titolo oneroso”, ai sensi dell’articolo 2, punto 1), VI Direttiva CEE (ora articolo 2, § 1, lettera a) e c), Direttiva 2006/112/CE), e configura pertanto un’operazione imponibile, soltanto quando tra il prestatore e il committente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al committente.
Ciò si verifica quando sussiste un “nesso diretto” tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto.
Nel caso oggetto della causa C-94/19 dell’11 marzo 2020, è emerso che il distacco è stato effettuato sulla base di un rapporto giuridico di natura contrattuale tra l’impresa distaccante e quella distaccataria e risulta, inoltre, che, nell’ambito di tale rapporto giuridico, sono state scambiate prestazioni reciproche, vale a dire il distacco di un dirigente dell’impressa distaccante presso l’impresa distaccataria, da un lato, e il pagamento da parte di quest’ultima degli importi che le sono stati fatturati dall’impresa distaccante, dall’altro.
L’aspetto da chiarire è relativo all’esistenza di un “nesso diretto” tra queste 2 prestazioni se, come nella fattispecie, non è stato pattuito un compenso superiore agli oneri sostenuti dall’impresa distaccante, cosicché il distacco non è stato effettuato allo scopo di ricevere un corrispettivo.
La Corte ha, tuttavia, escluso l’insussistenza del “nesso diretto”, rilevando che secondo la giurisprudenza sopra richiamata, tale nesso sussiste quando 2 prestazioni si condizionano reciprocamente, vale a dire che l’una è effettuata a condizione che lo sia anche l’altra e viceversa.
Se, quindi, dovesse essere dimostrato – circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare – che il pagamento da parte dell’impresa distaccataria degli importi addebitati dall’impresa distaccante costituisce una condizione affinché quest’ultima presti il proprio dirigente, e che l’impresa distaccataria ha pagato tali importi solo come corrispettivo del distacco, si dovrebbe concludere per l’esistenza di un “nesso diretto” tra le 2 prestazioni.
In questa situazione, si dovrebbe, pertanto, ritenere che l’operazione sia stata effettuata a titolo oneroso ed essa sarebbe soggetta a Iva.
È irrilevante, al riguardo, l’importo del corrispettivo, in particolare la circostanza che esso sia pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto nell’ambito della propria prestazione.
Infatti, tale circostanza non è tale da compromettere il “nesso diretto” esistente tra la prestazione resa e il corrispettivo ricevuto.
In conclusione, per la Corte, l’articolo 2, punto 1), VI Direttiva CEE (ora articolo 2, § 1, lettera a) e c), Direttiva 2006/112/CE) esclude la legittimità, sul piano comunitario, di una norma, quale l’articolo 8, comma 35, L. 67/1988, in base alla quale non sono considerati rilevanti ai fini Iva i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a condizione che gli importi versati dall’impresa distaccataria a favore dell’impresa distaccante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente.
Ad avviso di Assonime, la sentenza della Corte di Giustizia UE solleva notevoli perplessità.
L’Associazione ha osservato che “il concetto di reciproco “condizionamento” delle due prestazioni (quella dell’impresa che presta il personale e quello dell’impresa beneficiaria che rifonde alla prima il costo degli oneri retributivi e previdenziali) – concetto che è alla base delle argomentazioni sviluppate dalla sentenza – ci sembra che corrisponda, sostanzialmente, al nostro comune concetto di sinallagma, e cioè a quella relazione che unisce due prestazioni nelle quali l’una si rende dovuta in quanto è dovuta l’altra: caratteristica, questa, che è comune a una molteplicità di negozi aventi cause diverse.
Il nostro ordinamento conosce, tuttavia, e distingue dagli altri, i contratti a prestazioni corrispettive caratterizzati da un “quid pluris”, e cioè dal fatto che l’interesse di una parte a ricevere una prestazione si coordina con l’interesse dell’altra parte a ricevere per tale prestazione un corrispettivo adeguato, un corrispettivo, cioè, che remuneri il suo impegno. Sono contratti in cui, in altri termini, le due prestazioni si pongono su un piano di equivalenza economica; situazione, questa, da cui scaturiscono una serie di importanti conseguenze giuridiche (sulla funzionalità del rapporto, sulla sua possibilità di essere risolto o rescisso) che non è il caso qui di esaminare.
Orbene, in quest’ottica, è chiaro che la rifusione alla parte che presta il personale del solo costo che questa sostiene per continuare a mantenere la sua posizione di datrice di lavoro non può costituire una remunerazione vera e propria, nel senso, cioè, di corrispettivo per il «servizio» di prestito di personale. Piuttosto essa rappresenta la richiesta della parte che presta il personale di rimanere indenne dei costi che continua a sostenere per il personale distaccato a beneficio della controparte; dunque – ripetiamo – non una vera e propria remunerazione del servizio valutato dalle parti come tale. E tutto ciò perché, evidentemente, gli interessi perseguiti da tali parti attraverso il prestito di personale sono altri, risiedono, in altri termini, in quegli scopi organizzativi di varia natura che abbiamo elencato poc’anzi”[10].
Adeguamento della giurisprudenza italiana a quella comunitaria
A seguito della sentenza della Corte di Giustizia UE, la giurisprudenza italiana si è uniformata all’indirizzo espresso dai giudici comunitari.
Pertanto, la Suprema Corte ha affermato che l’articolo 8, comma 35, L. 67/1988, laddove prevede che non sono da intendere rilevanti ai fini dell’Iva i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, è recessivo rispetto alla disciplina comunitaria, solo occorrendo a tal fine accertare, secondo la giurisprudenza UE, che sussista un nesso diretto tra le 2 prestazioni ai fini del reciproco condizionamento, vale a dire che l’una è effettuata a condizione che lo sia anche l’altra e viceversa.
In sostanza, è irrilevante l’importo del corrispettivo, ossia che sia pari, superiore o inferiore ai costi che l’impresa distaccante ha sostenuto nell’ambito della fornitura della sua prestazione. Ad assumere rilevanza è soltanto la condizione di cui sopra, ponendosi, cioè, il pagamento dei costi come condizione per il distacco dei lavoratori[11].
Abrogazione della norma dichiarata illegittima sul piano comunitario
Come anticipato, l’articolo 16-ter, D.L. 131/2024, introdotto, in sede di conversione, dalla L. 166/2024, in recepimento del principio espresso dalla Corte Europea nella sentenza di cui alla causa C-94/19 dell’11 marzo 2020, ha abrogato l’articolo 8, comma 35, L. 67/1988.
La novità si applica ai prestiti e ai distacchi di personale stipulati o rinnovati a decorrere dal 1° gennaio 2025 e, inoltre, sono fatti salvi i comportamenti adottati dai contribuenti anteriormente a tale data in conformità alla sentenza della Corte UE o all’articolo 8, comma 35, della L. 67/1988, per i quali non siano intervenuti accertamenti definitivi.
Tale disposizione intende tutelare il legittimo affidamento dei contribuenti e, sul punto, possono richiamarsi le osservazioni svolte da Assonime nella circolare n. 8/2020 (§ 3), secondo cui, in linea di principio, le pronunce della Corte di Giustizia UE, in considerazione della loro portata interpretativa della normativa comunitaria, hanno efficacia retroattiva. Tuttavia, l’esigenza di tutelare il legittimo affidamento dei contribuenti impone di ritenere che solo a seguito della modifica o, come nella fattispecie, dell’abolizione dell’articolo 8, comma 35, L. 67/1988, la sentenza in esame possa produrre i propri effetti nell’ordinamento nazionale.
Come osservato da Assonime[12], la norma abrogata, pertanto, rimane operante per le operazioni che tecnicamente si dovrebbero considerare effettuate dopo il 1° gennaio 2025, tali essendo, in particolare, i prestiti o distacchi di personale per i quali il presupposto temporale di applicazione dell’Iva stabilito dall’articolo 6, D.P.R. 633/1972, collegato al pagamento del corrispettivo o, se anteriore, all’emissione della fattura, si è verificato a partire dal 1° gennaio 2025, ma l’operazione è stata eseguita sulla base di contratti stipulati o rinnovati entro il 31 dicembre 2024.
La disciplina transitoria tiene, però, conto anche dei casi in cui le imprese avessero già ritenuto, sulla base della sentenza della Corte di Giustizia UE, che le somme versate dal distaccatario fossero imponibili a Iva, anche in presenza dei requisiti per l’applicazione dell’articolo 8, comma 35, L. 67/1988.
Ne consegue che, se l’operazione fosse stata assoggettata a Iva, nonostante la vigenza della norma di cui sopra, il committente avrebbe diritto di detrarre l’imposta che gli è stata addebitata in via di rivalsa, in presenza ovviamente dei requisiti di carattere soggettivo per fruire della detrazione. Lo stesso principio si deve ammettere, “a fortiori”, nei casi in cui, pur in presenza della suddetta disciplina transitoria, il distaccante decidesse di assoggettare a Iva distacchi effettuati sulla base di contratti stipulati o rinnovati entro il 31 dicembre 2024.
Irrilevanza del “mark up” a favore dell’impresa distaccante
L’Agenzia delle entrate, con la risposta a interpello n. 38/E/2025, ha chiarito che, a prescindere dall’assenza di un “mark up” a favore dell’impresa distaccante – presupposto che, secondo la Corte di Giustizia UE, è irrilevante ai fini dell’onerosità dell’operazione – è riscontrabile un “nesso diretto” tra la prestazione avente a oggetto il distacco del proprio personale e la controprestazione dell’impresa distaccataria, in quanto gli importi versati da quest’ultima a favore della prima e il distacco di personale dell’impresa distaccante si condizionano reciprocamente.
Ne consegue che i servizi di distacco di personale erogati dall’impresa distaccante a favore dell’impresa distaccataria, in adempimento di accordi stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2025, assumono rilevanza agli effetti dell’Iva. Gli importi erogati dalla distaccataria a favore della distaccante a titolo di rimborso del costo complessivo sostenuto da quest’ultima per ogni singolo lavoratore distaccato, comprensivo di tutti gli oneri contributivi e assicurativi, vanno, quindi, assoggettati a imposta.
Un diverso avviso è stato espresso da Assonime[13], secondo cui l’abrogazione della disposizione sui prestiti o distacchi di personale non implica necessariamente che il trattamento ai fini dell’Iva di tali operazioni consista nell’applicazione del tributo su un imponibile costituito dall’intero importo versato dal distaccatario, comprensivo cioè dei costi relativi alle retribuzioni.
La soluzione più corretta dovrebbe essere, invece, quella di considerare l’operazione soggetta al tributo ma su un imponibile costituito solo dalla parte delle somme dovute che eccede il rimborso degli oneri retributivi e contributivi.
Infatti, secondo l’Associazione, “potrebbe esservi spazio per ritenere che la specifica disposizione sui prestiti o distacchi di personale sia da ritenere tacitamente superata dalla norma sul lavoro temporaneo oppure che essa vada interpretata in senso diverso da quello ritenuto corretto dalla giurisprudenza, nel senso cioè che la “non” rilevanza dei distacchi a fronte dei quali sia versato solo il rimborso del relativo costo riguardi i casi in cui il distaccante non percepisca un quid pluris oltre tale rimborso e che se tale quid pluris fosse riconosciuto, l’imposta dovrebbe essere commisurata su un imponibile limitato a tale elemento. In sostanza, la norma riguarderebbe la determinazione dell’imponibile, non il presupposto oggettivo.
Si verificherebbe, altrimenti, una disparità di trattamento senza una ragionevole giustificazione fra le due modalità di messa a disposizione del personale”.
In sostanza, la soluzione accolta con l’articolo 26-bis, L. 196/1997 – operante per le somministrazioni di lavoro, a seguito della precisazione contenuta nell’articolo 86, comma 4, D.Lgs. 276/2003 – secondo cui “i rimborsi degli oneri retributivi e previdenziali che il soggetto utilizzatore di prestatori di lavoro temporaneo è tenuto a corrispondere (…) all’impresa fornitrice degli stessi, da quest’ultima effettivamente sostenuti in favore del prestatore di lavoro temporaneo, devono intendersi non compresi nella base imponibile dell’Iva di cui all’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”, costituisce espressione di un principio che, in realtà, dovrebbe ritenersi operante in tutte le fattispecie nelle quali il personale dipendente viene messo a disposizione di un’impresa, sia quando il dante causa effettua tale specifica attività (ad esempio somministrazione di lavoro mediante agenzia), sia quando è un soggetto che esercita una qualsiasi altra forma d’impresa (ad esempio commerciale o industriale) e, per soddisfare un proprio interesse, distacca dei lavoratori presso un altro soggetto.
Ulteriori effetti dell’abrogazione della norma dichiarata illegittima sul piano comunitario
L’abrogazione dell’articolo 8, comma 35, della L. 67/1988 si riflette sugli addebiti relativi ai distacchi, in particolare nell’ipotesi in cui l’impresa distaccante e/o distaccataria sia soggetta a una limitazione del diritto di detrazione dovuta al pro rata di cui all’articolo 19, comma 5, D.P.R. 633/1972.
In particolare, se la distaccante opera la detrazione in base al pro rata, il nuovo regime di imponibilità del distacco comporta, nei confronti di tale soggetto, un incremento del pro rata e, quindi, dell’Iva ammessa in detrazione.
Viceversa, se è la distaccataria a essere in regime di pro rata, l’addebito dell’Iva da parte della distaccante non dà diritto all’integrale detrazione, ma solo per la quota-parte corrispondente alla percentuale di detrazione determinata ai sensi dell’articolo 19-bis, D.P.R. 633/1972.
Inoltre, siccome i distacchi di personale sono generalmente stipulati nell’ambito dei gruppi societari, il nuovo regime di imponibilità si riflette sulla determinazione della base imponibile al ricorrere delle situazioni contemplate dall’articolo 13, comma 3, lettera a), b) e c), D.P.R. 633/1972.
Occorre, in altri termini, quantificare la base imponibile in funzione del “valore normale”, inteso ai sensi dell’articolo 14, D.P.R. 633/1972, nelle ipotesi in cui la sottofatturazione o la sovrafatturazione sia effettuata tra soggetti in regime di pro rata di detrazione.
[1] Cfr. risoluzione n. 152/1995.
[2] Cfr. risoluzione n. 262/E/2002.
[3] Cfr. risoluzione n. 346/E/2002.
[4] Cfr. Cassazione n. 19129/2010.
[5] Cfr. Cassazione SS.UU. n. 23021/2011.
[6] Cfr. Cassazione n. 14053/2012.
[7] Cfr. Corte di Giustizia UE, causa C-37/16 del 18 gennaio 2017.
[8] Cfr. Corte di Giustizia UE, causa C-267/15 del 22 giugno 2016.
[9] Cfr. Corte di Giustizia UE, causa C-520/14 del 12 maggio 2016.
[10] Cfr. circolare n. 8/2020 (§ 2).
[11] Cfr. Cassazione n. 5601/2021, n. 5609/2021, n. 5615/2021, n. 20589/2021 e n. 10905/2022.
[12] Cfr. circolare n. 4/2025.
[13] Cfr. circolare n. 4/2025, cit..
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